tengo un sueño
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L'energia è il filo d'oro
che collega la crescita economica, maggiore equità sociale
e un ambiente che permette al mondo di prosperare."

Ban Ki-moon, Segretario Generale delle Nazioni Unite
New York, 24 settembre 2014


25 de febrero 2015
Buenas noticias desde Chile, ya que la compañía nacional de petróleo del país ENAP busca resolver cuestiones pendientes para su proyecto geotérmico de 50 MW Cerro Pabellón este año 2015 con el fin de tener la primera central de energía geotérmica operativa para el país en 2017
-señaló al periódico Pulse en una entrevista publicado el jueves su director general Malcelo Tokman
(leggi la fonte).

Davvero ottime notizie dal Cile!
Il progetto Cerro Pabellón di cui parla l'articolo è al 49% di ENAP, e 51% di Enel GrenPower.
Congratulazioni per il risultato e molti auguri ai colleghi per lo svolgimento del lavoro.


Io conosco bene la piana di Apacheta dove sarà realizzato il progetto, nel nord minerario cileno. Un pezzo di colorato deserto andino a 4500m sul livello del mare.
Ci sono stato molte volte.
Per arrivarci, si parte dalla polverosa città mineraria di Calama. Andando verso NordEst lungo la statale CH21, si risale un'arida vallata sulla quale incombe stagnante il fumo giallognolo che si innalza dalla vicina miniera di Chuquicamata.
Dopo quasi un'ora, improvvisamente la strada si immerge con ripide curve nella quebrada (canyon) di Lasana, scavata dal fiume El Loa.
Varcato il ponticello, nel mezzo di questa stretta, imprevista e verdissima vallata, si entra nel pueblo di Chiuchiu (pronuncia: cìu-cìu), il cui nome sembra un cinguettio...



Arrivati all'antico pueblo suggerisco una sosta nella piazza centrale, per assaggiare la cazuela di vacuno nel ristorante intitolato alla leggendaria principessa pagana Incacolla.
E anche per visitare la chiesa cattolica di San Francesco, la più antica di tutto il Cile: un piccolo e rozzo, ma bellissimo e particolare edificio, imbiancato di calce. Le massicce e tozze murature sono di terra argillosa cruda; le esili capriate del tetto sono in legno di cactus.
In tavole di cactus sono anche il portale ed i cancelli del recinto e del cimitero.



Contrasta la semplicità di questa chiesa con la sua caratteristica: di essere stata la prima di tutto il Cile!...
Nello stesso anno in cui l'umilissima Cattedrale di San Francisco de Chiuchiu veniva realizzata nel deserto di Atacama, a Roma il Papa Paolo V benediceva nella Basilica di San Pietro la fine dei lavori della nuova facciata e della loggia, appena costruite dall’architetto Maderno a completare le precedenti opere di Bramante e del Brunelleschi, di Raffaello Sanzio e di Giuliano da Sangallo…
E il Bernini metteva mano al disegno dei mai realizzati campanili…

Delude pensare che il Papa, distratto da quell’immenso e interminabile cantiere per la più grande chiesa della cristianità, non abbia ugualmente investito in legni esotici, marmi pregiati ed architetti illustri per la costruzione di questa simbolica prima chiesa Cilena.
E stupisce che, invece, la sua realizzazione sia stata affidata ad un umile e volenteroso francescano, di cui oggi non ricordiamo più il nome, ed all’esperienza di povere maestranze locali, che impastavano la terra del deserto con poca acqua e paglia.

Eppure, fu giusta la strategia: il Sudamerica era ed è una straordinaria risorsa per la Chiesa Cattolica. E fu proprio per mezzo di questo piccolo e veloce cantiere, che il Cattolicesimo si è affermato nel Paese!
La Chiesa di Chiuchiu dette difatti rapida risposta al bisogno dei primi pochi fedeli cattolici, anziché disperdere le nascenti comunità nell’attesa di ingenti ed improbabili finanziamenti per un’opera che fosse “più degna” dell’immensa attività di evangelizzazione che ne sarebbe seguita…

Questa sosta nell'oasi sulla nostra strada per Cerro Pabellón e questa digressione sul cantiere di San Pietro in Vaticano non ci distraggono affatto dalla nostra meta, ma anzi mi consentono un'azzardata metafora: una similitudine tra l'evangelizzazione del Sud America e la diffusione della geotermia...

Come è oggi la Chiesa di San Francesco di Chiuchiu, anche la centrale di Cerro Pabellòn sarà visitata in futuro con curiosità, come primo progetto geotermoelettrico realizzato sulle Ande. Tra qualche anno (quando tutti i Paesi Andini saranno energeticamente indipendenti grazie allo sfruttamento dell’enorme risorsa geotermica che possiedono), come per la Chiesa di San Francesco di Chiuchiu, anche della centrale di Cerro Pabellòn si dirà che è un progetto minimalista ma efficace, senza grandi edifici e senza le caratteristiche torri che fumano vapore.
Difatti, il primo impianto sulle Ande sarà realizzato un piccolo passo alla volta, nella tecnologia ORC ad alta entalpia (che a me piace chiamare H2ORC): una tecnologia che consente flessibilità, modularità; ma anche semplicità costruttiva e manutentiva, alta affidabilità anche in condizioni climatiche avverse; e la reiniezione di tutto il fluido estratto.
Di questa scelta progettuale, io mi attribuisco il merito (o la colpa).
Ma a mio parere molto di più andrebbe fatto per seguire l'esempio di successo di quell'anonimo francescano.

Per chiarire la mia affermazione, inquadro brevemente l'esperienza geotermica lungo la catena Andina; una storia lunga quasi un secolo, caratterizzata da grandi successi nella perforazione, ai quali non è ancora mai seguito alcun investimento in impianti di generazione. Le risorse stimate sono enormi e le perforazioni effettuate nel corso dei decenni hanno confermato le attese; ma al momento non ci sono centrali installate, e neanche 1 kWh è stato ancora generato!...
Trascurando le prime perforazioni geotermiche effettuate dalla Società Larderello a El Tatio, e trascurando anche quelle della Società Cilena Corfo nello stesso sito (tutte coronate da successo), questa è la sintesi della risorsa reperita negli ultimi trent'anni: percorrendo le Ande da Sud a Nord, al momento sono stati reperiti e accertati (ma restano chiusi nei pozzi) 12MW a Curacautìn (Chile); 20MW a Copahue (Argentina); 20MW a Sol de Manana (Bolivia); 10MW a EL Tatio (Chile); 8MW ad Apacheta (Chile).
Totale risorsa già disponibile: 70MW.
In America Latina, i costi ed i rischi della ricerca mineraria sono stati affrontati e sostenuti in passato, da società private o da istituzioni pubbliche, ma (come ho detto) ai costi minerari non è mai seguito un investimento in impianti di generazione. Per motivi diversi, ma comunque riconducibili all'accettabilità sociale e alle difficoltà logistiche.
Quindi, il problema maggiore in America del Sud non sembra essere il rischio minerario, ma tuttaltro!... Provo a dare un mio parere.

Il Cile è una lunga e sottile striscia di terra, chiusa tra l’oceano a ovest e la Cordigliera a est. In soli duecento chilometri di larghezza, il terreno sale dal livello del mare fino alle pianure andine oltre i quattromila metri, e poi ancora fino alle vette di seimila, sulle quali passa il confine con la Bolivia e con l’Argentina.

La geotermia vive su quelle alte pianure.
Il suo vantaggio competitivo rispetto alle centrali a carbone sulla costa non sta nella possibilità di fornire elettricità alle industrie energivore molti chilometri a valle, che sono peraltro già connesse alla rete di trasmissione ad alta tensione e pagano l'energia a tariffe basse.
A mio parere, il suo vantaggio competitivo sta invece nella capacità di produrre energia dove manca e costa molto produrla e consumarla; nella possibilità di alimentare piccole comunità energetiche come le stazioni di pompaggio Codelco (20 km a sud) o di El Abra (20 km a nord di Cerro Pabellon).
Senza trascurare l’opportunità di sviluppo (sostenibile e non inquinante) che la disponibilità di elettricità può offrire quantomeno alle piccole attività minerarie già presenti (estrazione dei sali di borace e litio nel salar di Ascotàn) o che può richiamare (come le antiche miniere di zolfo che furono abbandonate un secolo fa, dopo aver esaurito per i loro consumi di energia la poca biomassa che all’epoca il deserto ancora offriva).

Inoltre, è dimostrato che la geotermia può sostenere localmente una piccola industria chimica che estragga il litio che le sue stesse brine contengono, preziosissimo componente per le batterie delle auto elettriche sempre più diffuse nelle nostre città (vedi); oppure per sintetizzare un combustibile liquido per autotrazione come il metanolo, secondo un processo che sequestra i gas serra ed il cui unico sottoprodotto da rilasciare in atmosfera è l’ossigeno, prezioso in alta quota (vedi)...

E soprattutto, potrebbe offrire un’opportunità di sviluppo ai pueblos andini; (vedi) come il vicino Ascotàn, da cui passa la ferrovia (non elettrificata) da Antofagasta a Bolivia. L'economia del pueblo oggi si basa sull'offerta di alloggio e “ristorazione” ai lavoratori dei cantieri locali (ma non al cantiere della futura centrale di Cerro Pabellon).
In futuro potrebbe offrire servizi simili anche ad un turismo richiamato dalla possibilità di visita dell’Area Protetta dell’Alto El Loa, ancora poco conosciuta.
A testimonianza di questa possibilità, cinque chilometri a est di Cerro Pabellon c’è un piccolo albergo nel deserto di Siloli; è l’unico presidio fino ad oggi di un turismo diretto ai grandi e affascinanti salàr, che a causa dell’assenza di infrastrutture non è ancora di massa.
Il piccolo albergo è però oltre la frontiera (non presidiata) tra Cile e Bolivia; un confine che separa due Stati, attraverso il quale oggi non passa neanche un kiloWatt; una linea che non ha invece nessun significato per la Nazione Andina, che non si riconosce nei concetti di "cileno" o "boliviano", ma piuttosto nelle diverse identità di Quechua, di Aymarà oppure di Atacama.

La costruzione ed il successivo esercizio della Centrale potrebbero poi essere occasione di lavoro per gli abitanti dell’altopiano. Certo, non per i pochi anziani che oggi abitano gli antichi pueblos (alcuni dei quali autentici gioielli di pietra incastonati nelle quebradas).
Ma potrebbero offrirlo ai figli di quegli anziani, la gran parte dei quali ha studiato, si è laureata e oggi lavora nelle immense miniere di rame, cento chilometri a valle.
Quanti di loro vorrebbero lasciare un lavoro insalubre per tornare sull’altipiano dove sono nati, per svolgere in condizioni dignitose ed in un pueblo rinnovato, un lavoro qualificato e altrettanto remunerato di quello attuale?
Io non lo so, ma credo che varrebbe la pena provare a verificarlo…

Questa è la mia visione: che la geotermia sulle Ande non sia soltanto “sostenibile”, nel senso che il suo peso risulti “sopportabile” dall’ambiente. Ma che sia invece in grado di “sostenere” lo sviluppo umano e ambientale, di allontanare il deserto e creare vero valore per i tanto citati "stakeholders", ivi incluso l’ambiente naturale circostante.
La geotermia non sottrae acqua, ma volendo potrebbe restituirne alla superficie, creando nuove oasi umide e fertili dove (ad esempio) ripopolare la vigogna, la cui lana vale sul mercato centinaia di dollari al chilo; oggi in Cile nessuno la raccoglie, ma è una piccola economia che sostiene nel vicino Perù molte comunità dell'altipiano.

A me piacerebbe se il progetto Cerro Pabellon, il primo sulle Ande, contribuisse a rendere evidente, innanzitutto a chi vive nel nord minerario cileno, e poi al Mondo, che la geotermia non è un’industria mineraria anche se ne usa alcune tecnologie.
A differenza delle multinazionali del rame, la geotermia non escava il terreno per estrarre il minerale e portarlo lontano; per poi abbandonare tutto, quando la risorsa è finita, lasciando soltanto un enorme e desolato buco in terra.
La geotermia al contrario “coltiva” la risorsa come fosse un campo agricolo, senza portar via nessuna materia, ma solo estraendo l’energia che si rinnova continuamente, per creare localmente le infrastrutture di un Paese in crescita.

Condivido in pieno le parole di Ban Ki-moon, attuale Segretario Generale delle Nazioni Unite: "L'energia è il filo d'oro che collega la crescita economica, maggiore equità sociale e un ambiente che permette al mondo di prosperare."
Però aggiungo un avvertimento: non basta il filo, bisogna anche imparare a cucire!...
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Concludo: come la Chiesa di San Francisco di Chiuchiu, anche della centrale di Cerro Pabellòn tra qualche anno si dirà che è stata la prima, modesta ma efficace opera da cui partì lo sfruttamento dell’enorme risorsa geotermica andina. Un impianto "pioniere" al quale seguiranno le Cattedrali nello stile che siamo abituati a vedere.

Perciò, a me piacerebbe che si facesse un piccolo e poco costoso sforzo ulteriore, perché si possa ricordarla (non solo in Sud America ma dovunque) come il primo esperimento di riqualificazione del deserto più arido del pianeta attraverso una tecnologia rinnovabile.
Una coppia di pernici che scegliesse di nidificare a Cerro Pabellon sarebbe il migliore e più evidente argomento a difesa della "ambientalità" della geotermia, da contrapporre dovunque e con evidenza, a chi esprimesse timori sulla sua "sostenibilità".

Saluto e faccio i migliori auguri a tutti i miei amici italiani e cileni che avranno il privilegio di partecipare a quest’impresa unica e memorabile. Ingegneri come pionieri, come quel francescano di cui non ricordiamo più il nome, alla ricerca dei metodi e delle tecniche più appropriate per le condizioni di quel particolare ambiente.

Buon lavoro.
y que viva Chile...
¡ con el vapor in sus manos !

hasta la producción de su propia energía natural geotérmica.




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