La Fiasca
il racconto
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Ho incontrato la Fiasca, come ho già detto, nell’estate 2001, senza sospettarne l’esistenza.
Un incontro fortuito, inatteso; ed assolutamente intenso.
In un luogo così lontano dal Mediterraneo, quell’oggetto affiorava da un preciso periodo storico col quale avevo qualche familiarità, per averne trattato in un fumetto: la breve pace in Terrasanta costruita con fatica e diplomazia da Federico II e Fakhr ad-Din.
Una pace cancellata con la VII Crociata organizzata dal Re Luigi IX dei Francesi, deciso a conquistare la santità per sé, al prezzo del martirio di molti.

Ebbi la sensazione che l’arnese avesse funzione diversa da quella di trasportare acqua; che fosse parte di un omaggio, preparato da un islamico per un cristiano, che per qualche motivo non aveva raggiunto il destinatario.
Fabbricato per conto di al-Salih Ayyub, il dono doveva essere per un sovrano di pari dignità.
Chi, se non Federico II, che una “leggenda” tramandata dagli storici islamici vuole autore di un “messaggio” di preavviso dei preparativi militari di Re Luigi?
I rovesci politici di Federico in Italia, sul finire degli anni ’40, bastavano a darmi motivo per la mancata consegna del regalo...

Iniziai a fantasticare sul significato di quelle figurazioni, di difficile interpretazione.
Mi convinsi che l’oggetto avesse la funzione di messaggero: uno straordinario e muto ambasciatore, portatore non di acqua, ma di piani diplomatici segreti per una duratura pace in Medio Oriente.
Prendeva forma un racconto di fantasia e di avventura, ambientato tra i campi di battaglia ed i giardini nelle corti di Alessandria e Damasco; tra i mercati di Baghdad e le ricche sale mosaicate di Palermo.
Una storia, nella quale muovere figure storiche (uno scienziato persiano, un generale egiziano) nell’ombra di maggiori eventi epocali: lo scontro tra differenti fedi e civiltà; l’incoronazione di Manfredi nella Cattedrale di Palermo; la morte dell’ultimo Califfo davanti alla Moschea di al-Mansur...

Pochi giorni dopo l’appassionato e creativo incontro, una colonna di fumo si alzava oltre il fiume Potomac. Da New York, la televisione trasmetteva immagini del crollo delle due torri, sede del Centro Mondiale dei Commerci.
Inutile attendere in aeroporto, quella mattina: il mio volo di rientro in Italia era stato annullato.
Ed anche il mio racconto rimase muto.
Mi sembrò inutile dar voce al messaggero: nessuno l’avrebbe ascoltata.

Provai invece a buttar giù i miei appunti, anni dopo, in atto di immodesto saluto alla persona che si insediava, nel gennaio 2009, per la sua prima volta nella odierna Capitale d’Occidente.
Anche lui, come Federico, figlio di molteplici discendenze.

“Lavorare per un sogno” è impresa assai dura: occorre riempire d’acqua la fiasca e compiere un difficile pellegrinaggio attraverso i deserti del Mondo.
E del cuore.



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