<

6 Epìlogo
-------

... but don't forget
the Unicorn ! ...


(da una popolare canzone per bambini)



Mite e silenziosa notte, questa notte lungo il molo del Fisherman's Warf, tra i banchi vuoti degli ostricari. Il mare si frange con ritmico scroscio contro le strutture in legno, e si disperde in schizzi e odore di alghe. Profumo nell'aria di pesce e di pizza cotta a legna emana dal retro delle botteghe di faccia alla baia di San Francisco, e di colpo mi riporta a Napoli, sul porticciolo di Santa Lucia, dove i ristoranti si affastellano in identica schiera.
E' così! Pure se dall'altro capo del mondo, la sensazione è di trovarmi a casa, ed ogni cosa intorno me la rafforza.
    Che osservi dall'alto dei colli gemelli di Twin Peaks la prospettiva di Market Street tagliare in due la città per immergersi tra i grattacieli del Financial District, avendo negli occhi Spaccanapoli che dall'alto del San Martino si tuffa verso il Centro Direzionale.
    Oppure che goda del volo solitario di un aquilone sui prati del lungomare di Marina District, dove ville belle e variopinte si allineano, come sulla Riviera di Chiaja le antiche residenze neoclassiche e nobiliari.
    O che ascolti un vecchio dagli occhi a mandorla suonare il suo mandolino in un vico di Chinatown, come quel mendicante che peranni incontravo tutte le mattine lungo via Scarlatti, andando a scuola.
    Oppure che raggiunga la cima di una delle quaranta colline di San Francisco a bordo del Cable Car, come tornassi a casa sulla Vomero Hill da Monte Santo con la Funicolare.
    O che mi soffermi a riconoscere, come sovente faccio, nei volti della gente che incontro, i tratti di mille razze convenute a popolare una sola Città.
E proprio vero! In questo angolo remoto d'America, affacciato sull'Oceano all'estremo lembo d'Occidente dove sono piombato in volo per un incontro di lavoro, mi sento a casa!
    Solo quest'isola piccola e lugubre, questa Alcatraz, che di fronte ai moli emerge al centro della Baia, credetemi, non può in alcun modo paragonarsi a Capri!
E' solo la mia immaginazione? Oppure davvero, paesaggi urbani ed umani hanno potuto riprodursi qui, a tanta distanza dalla mia Città? E sarà stato il caso, oppure un disegno, un progetto, una volontà razionale ad averlo architettato? Quanto mi è appena accaduto di ascoltare questa notte, mi conferma nella mia strana sensazione: ho ritrovato i fili interrotti del mio racconto!

La mia storia sembrava terminata dove l'avevo lasciata, sul monte di Posillipo.
L'Eroe, ormai persi gli ultimi compagni nel fatale naufragio di Scilla e Cariddi, in preda ad una smania non più contenibile vagava per i mari, sempre più ad Occidente; non sappiamo se perché dedito alla missione affidatagli dagli dèi, o nel disperato tentativo di ritrovare Partènope.

La Sirena, trasformata in Città, accudiva i suoi abitanti, e dedicava il suo amore a quanti, Greci, Romani, Bizantini, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnuóli, vi approdassero dal mare, lasciando loro l'illusione di averla conquistata e di poterla modellare.
Così la mia storia avrebbe potuto terminare.

Sennonché, come ho detto, ho appena saputo qualcosa che potrebbe dare a quella vicenda tutt'altro finale.
Contro la luce della luna, poco fa, un uomo anziano, forse un marinaio, un pescatore, stava gettando dalla sponda del molo, un pezzo alla volta, gli avanzi del suo pescato; ed io mi ero avvicinato per vedere meglio quanto già mi aspettavo: un leone marino difatti saltava dall'acqua per guadagnarsi uno spuntino serale; come probabilmente faceva d'abitudine.
Io, appoggiandomi alla balaustra in legno accanto a lui, poco sicuro della lingua mi ero limitato ad un saluto appena cordiale; così era stato lui ad attaccare discorso, ed a parlare, con un accento che capivo a fatica, di quanti animali, grandi e fantastici, aveva visto per mare; e di come fosse poi tornato in vecchiaia nella città che aveva conosciuta bambino, a San Francisco.
Il marinaio parlava, senza che io lo interrompessi; e così continuava, sempre più soddisfatto di aver trovato in me un ascoltatore che doveva sembrargli, evidentemente, molto attento; le sue parole invece mi scorrevano come il rumore del mare sotto di noi, e del suo racconto afferravo qualche sprazzo qua e là, ricostruendone a fatica il filo. Sicché mi sono accorto non subito che, quasi inavvertitamente, il suo discorso era arrivato a parlarmi di un suo mondo immaginario, forse dei suoi ricordi d'infanzia, della Città dell'Unicorno dove il Circo era di casa, i cavalli da giostra correvano per le strade e le scatole meccaniche suonavano buona musica.
E della Baia, dove un tempo nuotavano le sirene.
Mi sono scosso d'improvviso e l'ho fermato! Forse troppo bruscamente; devo avergli anche afferrato un braccio. Gli ho chiesto di ripetere; gli ho chiesto altri particolari. E lui, evidentemente turbato che gli avessi spento il filo dei suoi ricordi, rovescia in acqua il rimanente della sua cassetta e fa per lasciarmi.
Ma prima di andar via, per congedarsi, o forse per dimostrarmi che le sue non erano fandonie, mi accenna appena ad un'antica leggenda; un piccolo avvenimento, un fatto forse banale, capitato in queste acque, all'imboccatura della Baia, in quei tempi lontani in cui a suo dire, nelle fredde acque d'Oceano, nuotavano davvero le sirene.
Ora il vecchio è scomparso, rientrato per una porta ch'era dietro di noi nel retro di un ristorante. Ed io vado ripensando silenzioso sul pontile a quanto ho udito, sotto questo cielo stellato, con la brezza d'Oceano che si insinua nel bavero del mio giaccone.
    Che anche in un Paese così giovane e razionale si tramandino storie fantastiche e remote mi sembra incredibile; ma, come ovunque, anche qui ci sono uomini che vanno per mare ...
Nei tempi di cui narra questa leggenda, se da gran tempo nelle terre ad oriente, nella vecchia Europa, erano sorti Imperi e Stati organizzati su leggi ed ordinamenti scritti, non così era stato in questa terra d'America oltre l'Atlantico, dalla parte dove il sole muore. E viaggiatori e avventurieri con diversi intenti, missionari o conquistatori, solcavano il mare.
A quei tempi, Napoli era diventata una splendida città. Non la più grande né la più importante, ma certo la più bella del grande Impero, talmente vasto che sulle sue terre non tramontava mai il sole e che, dalle remote frontiere con l'ignoto ed infedele Oriente si estendeva verso Occidente fin sulle terre che qui si ergono sconfinate oltre il Mare Ocèano; sul quale, dalle coste del piccolo Mediterraneo fino ai suoi estremi confini, la sua flotta dominava.
Di alti palazzi, erti sulle colline in faccia al mare, si ornava Napoli, dipinti di rosa e di giallo, i colori del sole all'alba e al tramonto; e di chiese e conventi, e piazze, e giardini di mandorlo e fico. Non vi era viaggiatore, sia proveniente dalla piana alle sue spalle, sia che la vedesse d'improvviso all'entrata del Golfo doppiando il capo, che potesse sottrarsi al suo fascino. E vi arrivavano per godere del clima mite e della gente ospitale; e del profumo di fiori di limone, che dai giardini spirava fino a quei moli con la brezza al tramonto.
E che dire poi delle sue arti e dell'ingegno: dai suoi arsenali e cantieri era uscita la gran parte di quella gloriosa flotta, quella Invencibile Armada, orgoglio di ogni cittadino dell'Impero.
Ma gli dèi dell'Occidente sono fatui e volubili: come altre volte (tante volte!) nel corso della Storia, dopo aver fatto grandi e potenti i figli di un loro Eroe, avevano ora già scelto altrove un nuovo Campione. A quel forte Impero stavano dunque per voltare le spalle. Non per qualche vendetta né per capriccio; semplicemente perché astuzia e cinismo sono le virtù che assai più della forza e della grazia essi gradiscono.

La storia che ho udita dice dunque di un altro Eroe, Francis Drake il suo nome; un corsaro, soldato per forza, marinaio per vocazione. Questo era il nuovo prediletto dagli dèi dell'Occidente.
Di nuovo per motivi banali (un impegno di matrimonio non rispettato) il Mondo fu in guerra. E l'Impero vi si gettò con la forza di tutta la sua Invencibile Armada. Fu nelle acque della Cornovaglia che, avendo per arma solo la sua astuzia, l'Eroe con poche navi ebbe ragione di quell'immensa flotta. Nel rogo di quei legni bruciò tutta la potenza dell'Impero, del quale, da allora, nessuno sentì più parlare.
La leggenda che mi è stata riferita narra che Egli, dopo la battaglia, voltasse la sua nave verso Occidente e, lasciata dietro la poppa un cielo di fiamme, navigasse per anni. La sua Regina l'aspettò paziente sulla sua isola, senza mai spiegarsi quale smania lo conducesse per mare, alla conquista forse, chissà, di nuove terre per la Corona.
E fu qui, nelle acque dell'Oceano Pacifico oltre le terre d'Occidente, agli estremi confini di quel mondo allora praticato, che l'Eroe navigò a lungo. Cosa cercasse qui, il marinaio non mi ha detto. Ma era sicuro che per ben tre volte Egli abbia incrociato in queste acque, senza mai scorgere (forse a causa della bruma del mattino?) l'imboccatura della Baia, dove le sirene avevano il loro ultimo rifugio.

Dopo quei fatti, a dispetto di una terra inquieta per i frequenti terremoti, per mano di altri "figli del tufo" qui sorse una città.

San Francisco, che splendida città! Non la più grande né la più importante, ma certo la più bella di quel grande Paese che, dalle remote sponde dell'Atlantico si estende verso Occidente, fino alle terre che sorgono sull'altro Ocèano; sul quale (e su tutti gli altri Mari), la sua flotta domina.

Di alti palazzi, erti su quaranta colline in faccia al mare, si orna San Francisco, rivestiti d'acciaio e di cristallo; e di banche e negozi; e piazze, e giardini di agave e bougainville. Non vi è viaggiatore, proveniente in taxi dal suo aeroporto, o che per la uanouàn (101) la veda d'improvviso aprirsi oltre il Golden Gate, che possa sottrarsi al suo fascino ...

Qui davvero mi interrompo; dal vecchio altro non ho saputo. Ma se la storia finisca, o se ancora oggi, sempre più a ovest (con chissà che nome, da chissà che isola, sotto chissà quali bandiere) per qualche mare navighi l'Eroe, il Campione dell'Occidente, davvero non so.

Voglio solo aggiungere qualcosa che ho visto: nel mezzo della dolce Ghirardelli Square, affacciata sul mare, vi è una statua, che San Francisco ha dedicato alla Sirena. Ed in quella, Partènope ha tra le braccia una figlia neonata.

E le insegna a nuotare! ...


continua: 7 Conclusione
torna a: Indice